Brand Identity: la guida definitiva

che cos’è, a cosa, serve, come si costruisce

🍍Mida consiglia: leggilo se sei alle prime armi o hai conoscenze di base di branding.

Tempo di lettura: 7 minuti

Brand Identity, oh mia bella sconosciuta! 🥺

Quanta confusione si è creata in rete a tuo riguardo lo sa bene il povero studente di Marketing e Comunicazione che a due giorni dall’esame di Brand Management si è ritrovato a setacciare la rete in cerca di qualche articolo capace di spiegargli in tre parole i fondamenti della Brand Building.

O forse, no. Forse, se sei un consulente di marketing, un imprenditore o un appassionato della materia, lo sai un po’ anche tu che con l’identità di marca saltarci fuori non è tanto semplice. 

Primo perché il branding, come molti rami del marketing, è fatto di scuole di pensiero, non sempre convergenti, tutte dotate di diversi codici linguistici che finiscono per sovrapporsi, generando confusione nelle menti di chi prova ad approcciarsi alla materia.

Secondo perché a causa di queste ibridazioni, persino noi, professionisti della comunicazione, molte volte finiamo per usare la parola Brand Identity in modo improprio.

Se chiedi a un Visual o a un Graphic Designer che cos’è la Brand Identity, al 90% ti risponderà: logo, lettering e palette colori (la buona vecchia immagine coordinata).

Commerciali e Account, più portati a studiare il lato economico e gestionale delle realtà aziendali, potrebbero risponderti che la Brand Identity di un marchio sta nella sua vision, nella sua mission e nei suoi valori.

Ma allora chi ha ragione? 

Cos’è la Brand Identity? A cosa serve? E soprattutto cosa comprende? 

Qui sotto, tutte le risposte.

Che cos’è la Brand Identity

La Brand Identity è l’insieme delle componenti sensoriali che identificano una marca. In teoria, quindi, tutto ciò che si può vedere, toccare, ascoltare, annusare e gustare di un brand.

È l’immagine che una marca sceglie di darsi sulla base della sua personalità, dei suoi valori e della visione che persegue sul mercato.

Perchè serve avere una Brand Identity

La Brand Identity è di fondamentale importanza perché è ciò che mette in comunicazione il brand con il suo pubblico. L’anello di congiunzione che dà forma ai valori e agli ideali di una marca, permettendo alle persone di empatizzare con essa e di concepire un prodotto o un servizio oltre il suo mero scopo funzionale. 

Che cosa sarebbe Coca-Cola senza il suo rosso acceso, il suo logo arzigogolato scritto in Spencerian script e a quelle immagini di gioia in famiglia che la rendono l’elemento indispensabile delle nostre pizzate a casa di amici?

Una semplice bibita gasata da bere per placare la sete.

Che cosa comprende la Brand Identity

Dicevamo prima che la Brand Identity comprende tutti gli elementi sensoriali di un brand. Quindi, in teoria, tutto ciò che si può esperire di questo attraverso i sensi. 

Vedendola da questo punto di vista, quindi, non sono brand elements solo gli elementi visivi e testuali che ne distinguono la comunicazione, ma anche le soundtrack scelte per gli spot tv e  tutte le suggestioni olfattive e gustative che derivano dall’esperienza diretta del marchio e dei suoi prodotti. 

Pensa al profumo che si respira negli store di Abercrombie & Fitch. Talmente intenso e distintivo da essere percepito anche a metri di distanza e da riuscire a guidare i potenziali clienti fino al punto vendita.

Ma anche a quello di certi prodotti come Chanel n.5. Forse il profumo più conosciuto e riconosciuto al mondo. Al sapore inconfondibile della Nutella, che ci spinge a sceglierla e a risceglierla settimana dopo settimana rispetto alle altre semisconosciute creme di nocciole.

Questi, a livelli diversi, sono tutti brand elements.

Diciamo a livelli diversi perché, nonostante tutti concorrano a formare l’identità di brand, ce ne sono alcuni che rimangono nella mente delle persone più a lungo e che quindi vengono considerati principali.

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(Schema esemplificativo della gerarchia dei Brand Elements in una Brand Identity).

Tra questi troviamo il nome del marchio, il logo, il suo pay-off, i simboli o le mascotte, il tone of voice, la palette colori e la tipografia, il jingle.

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(Alcuni Brand Elements di Coca-Cola).

Questi elementi sono considerati principali anche perché sono quelli che concorrono a creare gli altri. Un sito, un packaging o l’insegna di un punto vendita, per esempio, non potrebbero esistere senza un logo.

Naturalmente non è detto che un marchio li sviluppi tutti. Dipende molto dal mercato in cui è inserito, dai prodotti che vende e dai canali di diffusione che sceglie di adottare. 

Coca-Cola per esempio li possiede quasi tutti, perché è un brand del settore food (e quindi i suoi prodotti sono dotati di un odore e di un gusto specifico) e perché ha saputo sfruttare i mezzi di comunicazione di massa offline fin dal loro esordio, permettendoci di ricollegare ad essa non solo nome, logo, colori e lettering ma anche svariati jingle e mascotte.

Diverso è, ad esempio, per i nuovi brand nati e venduti sul web che, non avendo alle spalle secoli e secoli di pubblicità, si concentrano più spesso sugli elementi verbali e visivi.

Qualche volta, te ne sarai accorto, capita poi che alcuni di questi elementi cambino o vengano integrati con altri nel tempo. Ad esempio quando si decide di attuare un Rebranding. 

Come si costruisce una Brand Identity

Se la Brand identity è il connettore tra il cuore del brand e il suo pubblico, per costruirne una efficace, dovrai innanzitutto avere ben presente vision, mission, valori e Unique Selling Proposition del tuo brand. Solo dopo aver compreso quali sono le leve che differenziano il tuo marchio dalla concorrenza e aver costruito il tuo posizionamento, infatti, potrai passare a tradurlo in un’immagine coerente. Per farlo, ti occorrerà in ogni caso passare attraverso una personalità.

Riassumendo, per costruire la Brand Identity devi:

  • Individuare il Brand core e il posizionamento del tuo brand.
  • Trasformare la tua identità in una personalità. Per farlo puoi ricorrere all’Archetypal Branding.
  • Sfruttare le caratteristiche dell’archetipo per la costruzione dei brand elements. 

Quali:

  • Naming, in primis, se non è già stato creato, tenendo conto di tutti gli altri fattori che devono essere valutati quando se ne idea uno. Per esempio la sua pronunciabilità, comprensibilità, memorabilità ecc.

  • Pay-off (o slogan o tagline). Che dovrà aggiungere qualcosa in più sul brand rispetto al nome sia dal punto di vista descrittivo che evocativo.
  • Brand Voice/Tone of voice. Ovvero il modo in cui dovrà parlare il brand sui vari canali. Meglio se corredato di esempi per rendere chiaro a tutti la sua applicazione.
  • Color System (palette colori). Che dovrà rispecchiare l’identità di marca, partendo dalla teoria del colore e tenendo conto delle associazioni cognitive che nel tempo hanno caratterizzato ogni colore, la loro valenza emozionale e l’immaginario che ogni tinta genera nella mente dei consumatori.
  • Typography System (o lettering), brand element complesso da non sottovalutare perché può stravolgere completamente la percezione di marca o, al contrario, rendere la Brand Identity insipida e non sufficientemente caratterizzata.
  • Il marchio e il logotipo (il pittogramma del marchio e la sua trasposizione in lettere). Il bigliettino da visita della marca che condensa in una sintesi chiara e facilmente decodificabile gli aspetti principali della personalità di brand e il suo nucleo comunicativo.

Come avrai notato, l’archetipo di marchio, pur non rientrando in modo ufficiale nei brand elements, è uno strumento indispensabili per arrivare alla loro creazione. Ne esistono altri come per esempio la moodboard che, pur non coincidendo con l’immagine visual definitiva del brand, concorre in maniera esponenziale a delinearla.

La Brand Identity non è il Brand Core

Ora che sappiamo che cos’è la Brand Identity, a cosa serve e come si costruisce, possiamo finalmente smentire le tesi di Project Manager e Grafici.

La Brand Identity non è il Brand Core ma il suo diretto riflesso.

Sul web circolano diverse infografiche che includono il Brand Core nell’Identity (da qui forse la convinzione che siano la stessa cosa). È indubbio che in effetti le due entità siano estremamente connesse, dato che una è il riflesso dell’altro, ma noi preferiamo continuare a vederle separate.

Questo perché il Brand Core, per quanto possegga una componente valoriale, è strettamente correlata al marketing. La sua definizione si basa soprattutto su logiche di offerta, dinamiche di prezzo e prodotto che non hanno nulla a che fare con la creatività e che devono essere fissate a priori per permettere alla prima di esprimersi al massimo. 

Venendo ai Visual e ai Graphic Designer…

È vero che la Brand Identity include logo, palette colori e lettering ma non si esaurisce nelle componenti visive del marchio

Essa, come abbiamo visto, comprende tutti gli elementi che coinvolgono i cinque sensi. È chiaro che, in quanto esperto visivo, lui dovrà innanzitutto preoccuparsi degli elementi di marchio che lo competono, ma non considerare il fatto che esistano altre componenti che influenzano anche il suo stesso lavoro,rischia di compromettere il risultato finale e anche di molto.

Nella Brand Identity, infatti, tutto deve corrispondersi a ogni livello sensoriale. 

Disegnare un logo o scegliere una palette senza aver considerato il nome, il pay-off o il tone of voice del marchio, per esempio, può causare incongruenze vistose che a loro volta rischiano di minare il futuro della Brand Image.

E a proposito di Brand Image…

La Brand Identity non è la Brand Image

Ehilà 😏, ti abbiamo beccato che ti fai fregare dalle assonanze. È vero che in italiano la Brand Identity viene spesso definita “immagine di marchio” ma  questo non significa che equivalga al termine inglese “ Brand Image”.

La Brand Image, infatti, pur essendo connaturata all’esistenza dell’Identity, è esterna al marchio. Rappresenta la sua diretta conseguenza. L’insieme degli attributi, degli atteggiamenti, dei benefici e delle associazioni che il pubblico sviluppa sulla base del messaggio comunicativo che il tuo marchio gli invia.

Con la Brand Awareness, forma quella che viene detta Brand Knowledge. 

Per oggi abbiamo finito. Speriamo che la nostra chiacchierata sulla Brand Identity  ti sia piaciuta e che ora tu abbia le idee un po’ più chiare.

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Brainstorming: 4 modi folli di farlo

per riaccendere la tua creatività e generare idee esplosive

🍍Mida consiglia: leggilo se sei alle prime armi o hai conoscenze di base di branding.

Tempo di lettura: 12 minuti

È inutile che neghi, dai. Lo sappiamo che anche tu hai provato a fare un brainstorming almeno una volta nella vita. 

Anche se, rimanga fra noi, è sembrata più una chiacchierata tra colleghi che una riunione. Una di quelle in cui sul tavolo, invece delle idee, ci finiscono solo le cartacce del Kinder Bueno 😝

Ma in fondo non è mica colpa tua se adesso va di moda farlo. E poi la notte prima avevi dormito poco e quell’oretta di niente ti serviva proprio per fare entrare in circolo il caffè delle nove e buttare giù la bozza di concept per la prossima campagna.

Vabbè… Per questa volta chiuderemo un occhio e ti perdoneremo. Sappi, però, che dopo aver scoperto questi 4 modi folli di fare brainstorming, non avrai più scuse. Dovrai andare a letto presto.

1. Crazy Eight

Cosa può esserci di più folle di un brainstorming che contiene l’aggettivo “crazy” nel nome? A essere onesti, la follia del Crazy Eight sta soprattutto nella velocità di esecuzione. I poveretti che decidono di partecipare al workshop, infatti, sono costretti a trovare 8 idee diverse per smazzare un problema creativo in soli 8 minuti

È il brainstorming che gli UX/UI designer di solito svolgono a quattro mani con i propri clienti, per ottenere in pochissimo tempo idee utili a progettare interfacce web che soddisfino i requisiti funzionali del target di riferimento.

Una faticaccia? Sì, però vedrai che ne varrà la pena!

Come fare un Crazy Eight

Come in tutti i brainstorming, anche nel Crazy Eight occorrono dei partecipanti e un moderatore. Ammettendo che tu sia il gamemaster, ecco cosa dovrai fare per assicurarti che tutto fili liscio mentre gli altri macinano idee per te.

  1. Crea una board a otto riquadri per ogni partecipante. Puoi progettare un modello con Illustrator, ricorrere a uno preimpostato gratuito disponibile online o disegnarlo su un semplice foglio bianco.
  2. Spiega ai partecipanti a quale problema devono trovare soluzione.
  3. Imposta un timer da 8 minuti (o ancora meglio 8 timer diversi da un minuto ciascuno).
  4. Chiedi a tutti di proporre una soluzione diversa a ogni minuto e di illustrarla attraverso uno sketch nei vari riquadri.
  5. Puntualizza che il concetto è più importante dell’accuratezza del disegno. Che scelgano di usare icone, linee, testo e forme per spiegare la loro idea o no, l’importante è che si capisca il senso di quello che vogliono fare.
  6. Precisa che non ci sono trovate troppo pazze per essere prese sul serio. Tutto vale in guerra, in amore e nei brainstorming.
  7. Avvia il timer e controlla che nessuno copi (ci provano sempre😏 ).
  8. Appena suona, fai cadere le penne.
  9. Invita i partecipanti ad alzarsi uno alla volta e a spiegare le proprie idee.
  10. Chiedi a tutti di votare le soluzioni preferite, assegnando punti o apponendo un segno di spunta accanto al riquadro contenente l’idea che li ha convinti di più.
  11. Sposta quelle vincenti nella fase di prototipazione o fai un altro giro di danze se esistono nodi progettuali a cui devi ancora trovare scioglimento.

🧨il pizzico di follia in più: assegna ai partecipanti dei buzzer button “YES” o “NO” per dare feedback sulle idee proposte dagli altri.

Mida Creative Hub(Esempio di board per Crazy Eight fornita da conceptboard)

2. Six Thinking Hats

Il gioco dei sei cappelli è un esercizio utilissimo per dare un boost alla tua intelligenza emotiva e a quella dei tuoi collaboratori. Un’attitudine metabolica ancora oggi sottovalutata, tanto importante quanto difficile da tenere allenata, specialmente nei membri psicologicamente più pigri del team.

La teoria

Brevettata da Edward de Bono, la teoria dei sei cappelli parte dal presupposto che ognuno di noi è propenso a ragionare, agire e sentire in modo reiterato nel tempo, attraverso un determinato archetipo comportamentale e caratteriale. Questo fatto, se da un lato concorre a definire la nostra personalità, dall’altro finisce per renderci molto prevedibili agli occhi del mondo. Nella vita privata, sul posto di lavoro e….(rullo di tamburi🥁)…Anche quando si tratta di generare soluzioni e idee. 

Hai presente quando fai brainstorming con l’Art Director del tuo cliente e sai già che l’idea geniale che sta per esporti sarà impossibile da realizzare, perché lui – lo hai già battezzato – è pragmatico quanto Kant ne “la Critica della ragion pura”?

O quando il Digital Analyst del team davanti alla presentazione del concept creativo del secolo ti risponde con un secco: “sì ma poi il Conversion Rate come lo misuriamo?” Perché non ha ancora capito che un capolavoro come la Gioconda non ha mai avuto bisogno di Google Tag Manager per sbancare?

Ecco. In casi come questo, dove la prevedibilità dei tuoi ragionamenti e di quelli dei tuoi collaboratori mette a rischio la possibilità di arrivare a una soluzione condivisa, il gioco dei 6 thinking hats può esserti di grande aiuto. Primo perché spinge i partecipanti a svestirsi dei loro panni e li obbliga a trovare nuove idee, indossandone altri. Secondo perché, consapevole delle regole vigenti, chi gioca annulla per un’ora il pregiudizio cognitivo che normalmente nutre nei confronti dei colleghi, impedendo che esso influenzi i risultati del brainstorming.

Come fare il gioco dei Six Thinking Hats

Se sei tu il moderatore del gioco dei sei cappelli procedi così:

  • Dividi i partecipanti in squadre, se la sala riunioni è affollata, altrimenti lascia che ognuno partecipi in solitaria.
  • Assegna a ciascuna squadra (o a ciascun partecipante) un cappello corrispondente a un diverso temperamento. 

 

🔵 Cappello blu → lo terrai per te in quanto rappresenta il moderatore. Colui che gestisce e modera il dibattito, cronometra i tempi, prende decisioni e risolve eventuali problemi insorti, assicurandosi che vengano rispettate le regole del gioco.

Ecco qualche frase tipo che potrebbe uscire dalla tua bocca, quando indossi il cappello blu:

  • “Parleremo di questo argomento per mezz’ora.”
  • “È il momento del Cappello Giallo, perciò mettiamo tutto il resto da parte e concentriamoci su quali sono i vantaggi del nostro progetto”.

 

  Cappello bianco → incarna la razionalità.È il cappello che parla con dati e KPI alla mano. Il suo compito è quello di far riflettere il gruppo sull’oggettività dei fatti e degli insight.

Tipiche frasi da cappello bianco sono:

  • “Ok, ma quanto ci costa finanziare questa attività?”
  • “I ricavi sono aumentati del 31,2% nell’ultimo anno”.

Cerca di assegnare questo cappello a qualcuno che sia impulsivo. 

Lo spronerà a pensare in modo più ponderato e scientifico.

 

🟢 Cappello verde → simboleggia la creatività. Il suo ruolo è quello di proporre nuovi spunti di riflessione al dibattito e soluzioni alternative rispetto a quelle che sono già sotto gli occhi di tutti.

Esempi di intervento da Cappello Verde:

  • “Invece di fare una campagna Youtube, potremmo sfruttare Instagram”.
  • “Ci sono altre possibilità?”

Se puoi, fallo indossare a risorse tecniche, abituate a svolgere ruoli più meccanici e operativi. Sarà divertente vedere cosa uscirà, una volta costretti a pensare fuori dagli schemi.

 

🟡 Cappello giallo o arancione → è l’emblema dell’ottimismo.

Il suo compito è quello di mettere in risalto i vantaggi e i risultati positivi del progetto che si sta analizzando e di proporre soluzioni ai problemi sollevati dal Cappello nero.

Frasi da cappello giallo:

  • “I costi pubblicitari sono molto alti? Perché non puntiamo sullo User Generated Content per ridurli?”
  • “Il nostro team ha già molta esperienza nella creazione di campagne Google Ads”.

Il cappello giallo va assegnato tassativamente al componente più Emo del team per fargli ritrovare un po’ di gioia di vivere o, più semplicemente, per evitare che si tagli le vene in bagno.

 

🔴 Cappello rosso → rappresenta l’intuito e l’istintività. Il suo obiettivo principale è quello di individuare le reazioni positive e negative dell’audience.

Frasi da cappello rosso:

  • “Quel suggerimento di acquisto mi irrita”
  • “Quell’immagine mi fa sentire felice!”
  • “Il mio istinto dice che i clienti temono che aumenteremo i prezzi strada facendo.”

Questo cappello regala grandi emozioni quando è indossato da profili analitici. 

 

Cappello nero → incarna lo spirito critico. Il suo ruolo è quello di prevedere le difficoltà e l’insorgenza di pericoli e minare le affermazioni positive fatte dal Cappello Giallo. È importante interpellarlo verso la fine del gioco, per evitare che le sue obiezioni inibiscano lo scambio di idee fra gli altri cappelli.

Frasi tipiche da iettator…ehm, da cappello nero:

  • “Non abbiamo un budget tanto elevato da assicurare un conversion rate così elevato”.
  • “Non possiamo farlo, viola la normativa sulla privacy.”
  • “L’idea del Cappello giallo è buona, ma sono certo che nasconde dei problemi. Proviamo a pensare a quali potrebbero essere…”

Per compensare l’assegnazione del cappello giallo, è consigliabile far indossare il cappello nero al sorrisone del gruppo. 

 

  •  Avvia il dibattito, assicurandoti di far parlare i cappelli nell’ordine visto poco fa, per evitare che l’intervento di alcuni di essi (soprattutto il nero, che rimane il vero guastafeste della situa) finisca per far scemare la conversazione invece di stimolarla.
  • Se occorre, ricomincialo una seconda volta. Dopo che tutti i cappelli hanno parlato, infatti, è possibile arricchire la discussione, ribattendo alle idee emerse con nuove proposte. Così finché non si raggiunge un un numero soddisfacente di risposte ai propri interrogativi.

 

🧨il pizzico di follia in più: nel weekend fai tappa al mercatino vintage per acquistare sei cappelli veri di colori diversi da far indossare ai partecipanti durante il brainstorming. 

3. Rolestorming

Mettersi dei panni degli altri in comunicazione è sempre una buona idea. Da questo presupposto nasce una terza tipologia di brainstorming folle: quella del rolestorming. L’obiettivo che questo gioco si propone è un po’ lo stesso di quello dei sei cappelli. Uscire dai propri schemi mentali e generare idee attraverso modelli cognitivi diversi. Per esempio quello dei tuoi clienti e/o dei tuoi fornitori.

Quando e come organizzare un Rolestorming

Mettiamo che tu e il tuo team siate stati incaricati di ideare la campagna creativa che lancerà un nuovo tipo di Coca-Cola sul mercato e che vogliate essere sicuri che la vostra idea venga approvata dall’intero CDA del brand al primo colpo. 

In questo caso, ricorrere al Rolestorming vi permette di capire in un pomeriggio se il concept che avete ideato è giusto o no. Per organizzarne uno, da moderatore del gioco, procedi così:

  • Assegna i ruoli. Stabilisci quali parti interpreteranno i tuoi colleghi nel rolestorming. Qualcuno potrebbe impersonare il CEO di Coca-Cola, qualcun altro l’head del reparto comunicazione e marketing. L’ADV Specialist, il responsabile delle vendite o la PR Manager. Anche in questo caso, puoi scegliere di assegnare loro i ruoli in base alla differenza che intercorre tra la loro mansione e quella dei personaggi che interpreteranno.
  • Lascia a ognuno il tempo di imbastire il proprio personaggio. Fai trascorrere qualche giorno prima di procedere con la sessione di gioco, in modo che ognuno dei partecipanti abbia il tempo di prendere confidenza con la propria parte e di porsi le giuste domande.
  • Dirigi la scena. Il giorno del brainstorming prenota una sala riunioni e inscena la recita. È il giorno della presentazione della proposta creativa. Tu, in quanto moderatore, esponi il concept della tua agenzia. Dopo la presentazione, i tuoi colleghi prendono la parola a turno e ti dicono che cosa secondo loro non va in quella idea.
  • Assicurati che i tuoi colleghi si pongano le domande corrette. Fai in modo che nell’esporre le loro perplessità si calino perfettamente nei panni dei clienti, spiegando perché secondo il loro punto di vista l’idea non funzionerebbe, che cosa non li convince e  cosa potrebbe fare l’agenzia per migliorare il concept.
  • Modifica il concept in base alle critiche che sono state sollevate durante il rolestorming et voilà! La tua idea a prova di bomba è pronta. 

 

🧨 il pizzico di follia in più: Stabilisci assieme ai tuoi colleghi i ruoli che ricoprirete nel rolestorming con un po’ di anticipo e il giorno della sessione presentatevi vestiti come i personaggi che interpretate. Il mascheramento favorirà il vostro processo di immedesimazione. Stanislavskij docet.

4. Round Robin Brainstorming

Come i precedenti brainstorming, anche il Round Robin è perfetto per generare idee condivise.  In particolare, è un tipo di gioco che permette di ottenere spunti da tutti i membri del gruppo, non solo dai logorroici che prendono sempre la parola, ma anche dai timidoni che di solito in questi momenti tacciono e si nascondono sotto la scrivania. 

Il Round Robin Brainstorming è considerato per certi versi una forma di brainwriting, in quanto prevede che i partecipanti non solo raccontino le proprie idee, ma anche che le mostrino agli altri attraverso schizzi o frammenti di testo. Tra i suoi vantaggi più convenienti c’è che serve a prevedere eventuali ostacoli che potrebbero impedire lo sviluppo della soluzione proposta, permettendo di evitare sforzi di realizzazione che si rivelerebbero inutili in un secondo momento.

Come si fa un Round Robin Brainstorming

Se sei il moderatore…

  • Fai sedere i partecipanti attorno a un tavolo e consegna loro un foglio di carta con il modello del Round Robin Brainstorming (puoi scaricarne una copia online).
  • Annuncia qual è il problema a cui volete trovare soluzione e scrivilo su una lavagna, in modo che tutti possano averlo davanti mentre elaborano idee.
  • Chiedi a ogni partecipante di scrivere o disegnare una soluzione per risolvere il problema in questione nella prima parte del foglio. Fissa un tempo massimo di dieci minuti.
  • Allo scadere del timer, fai girare i fogli dei partecipanti in senso orario. Adesso ciascuno di loro dovrà individuare un possibile problema alla soluzione pensata dal loro collega che gli ha passato il foglio e disegnarla/spiegarla a parole nella seconda parte dello stesso. Questa volta in soli 6 minuti.
  • Quando il tempo finisce, fai passare i fogli ancora una volta. Come ultimo passaggio, i partecipanti dovranno individuare un modo per superare gli ostacoli esposti in fase precedente e rendere l’idea iniziale ancora più forte, disegnando o spiegando la cosa nella terza parte del foglio. Avranno a disposizione 8 minuti.
  • Quando tutti hanno finito, fai leggere a ciascuno dei giocatori l’ultima idea emersa. Dovrebbe essere la più valida e ben congegnata.
  • Metti le idee al voto per scoprire qual è la migliore

Mida Creative Hub

(Esempio di board per il Robin Round Brainstorming fornita da Conceptboard )

Per una short version

Se hai poco tempo per saltarci fuori, risparmia i fogli. Fai sedere tutti attorno al tavolo. Chiedi a ognuno di esporre la propria idea per risolvere il problema e poi avvia un dibattito collettivo per individuare possibili minacce e soluzioni e rafforzare le ipotesi di partenza.

🧨 il pizzico di follia in più: nella short version il primo che, una volta interpellato, dice “la mia idea l’ha già detta Tizio” beve. Che c’è? Non l’abbiamo mica detto noi che l’alcol stimola il genio. Prenditela con Baudelaire!😇

Brand Building: Come si costruisce un brand

e quali sono le fasi fondamentali del processo

🍍Mida consiglia: leggilo se sei alle prime armi o hai conoscenze di base di branding.

Tempo di lettura: 8 minuti

Dopo aver visto Che cos’è un brand? E il branding, oggi approfondiamo una delle sue principali branche: la Brand Building.

Per alcuni esperti questa disciplina è la prima e la più importante da trattare, dato che comprende tutte le attività che riguardano la creazione e la rivisitazione dell’identità di marca.

Brand Building: il processo più lungo che c’è

Giusto per essere diretti, ti diciamo già che puoi metterti comodo, perché costruire una marca non è una passeggiata. 

Si tratta di un processo lento e a volte sanguinoso che parte con audit lungherrimi, continua con l’applicazione di teorie e fondamenti di marketing che, solo alla fine, si traducono nella definizione di una linea di comunicazione creativa.

In poche parole non è che la faccenda si possa liquidare con un logo, quattro immagini e due frasette. E diffida da chi ti illude che una soluzione del genere possa essere ottimale.

Non credere a quelli che ti dicono di poter costruire una Brand Identity per il tuo marchio, senza averti mai fatto una domanda riguardo ai valori che lo contraddistinguono, al pubblico cui si rivolge o alla comunicazione impiegata dai tuoi concorrenti. Anche se è tuo cuggino, (soprattutto se è tuo cuggino).

La Brand Identity, infatti, non è che la punta dell’iceberg. La fase finale di un processo di costruzione che per essere portato a termine richiede mesi di analisi, competenze trasversali, tanta pazienza e – detto in francese – le palle quadrate. 

Ogni tanto capita che qualche cliente vada in esaurimento dopo l’ennesima intervista, matrice, mappa di posizionamento che gli sottoponiamo, ma se c’è una cosa che abbiamo capito in questi anni è che ogni ora, ogni slide, ogni teoria impiegata ha un valore aggiunto immenso

Sono i dettagli che fanno la differenza. Quelli che ti permettono di costruire un brand davvero su misura del cliente che incontri. Li stessi che di solito lo spingono a esclamare: “wow!” e a ringraziarti quando finalmente vede il suo marchio prendere forma. Perciò, bando alle ciance! Se sei arrivato fino a qua e non sei stato preso dalla pigrizia, ti meriti di passare al capitolo successivo. 

Brand Building: quali attività comprende

In base allo scopo che perseguono, le attività di Brand Building si dividono in:

  • Brand Creation → quando c’è bisogno di creare una marca da zero, per esempio nel caso di una start-up. È l’attività più onerosa di tutte e quella a più alto rischio. Quando un brand deve ancora nascere non ci sono quasi mai dati. Si lavora molto di ipotesi e di tanto test & learn. Ma una volta che si è imboccata la strada giusta, ottenere risultati dà il doppio delle soddisfazioni.
  • Rebranding → quando è necessario aggiornare o rivedere la Brand Identity
    di una marca perché sono cambiate alcune circostanze interne e/o esterne. Per esempio quando ci si accorge che la vecchia immagine non incontra il favore del pubblico. Quando l’assetto generale del sistema sta cambiando per via di una fusione, un’acquisizione o un’estensione. O ancora, quando si desidera riposizionare il brand a un gradino diverso di mercato. Quando cambia il pubblico di destinazione e/o il posizionamento di certi concorrenti.
  • Restyling → quando si vuole rinfrescare l’immagine di marca per renderla più contemporanea. Tra le tre, questa è senz’altro l’operazione più “soft”, perché non obbliga a ripensare la Brand Identity da zero sulla base di logiche di riposizionamento, ma agisce sugli elementi visivi (e anche se in pochi lo dicono) verbali già presenti.

Branding Iceberg: l’essenziale è invisibile agli occhi

brand iceberg model - mida creative hub

Branding Iceberg Model – versione Mida Style.

Quando abbiamo detto che la Brand Identity è la punta dell’iceberg della Brand Building non stavamo usando una metafora. È proprio così! 😂 

Il modello di Branding Iceberg, che oggi vanta numerose varianti, ma che fu proposto per la prima volta da Hugh Davidson nel 1989 alla Conferenza annuale della Marketing Society, esemplifica alla perfezione quali sono i pesi tra elementi visibili e invisibili all’interno del processo di Brand Building.

E, così facendo, rimarca l’importanza di quelli che costituiscono la base sommersa del sistema marca, elevandoli a prerogativa indispensabile per l’esistenza delle sue manifestazioni esteriori.

Come abbiamo già ribadito e ribadiremo ancora alla sfinimento, Branding e Marketing non si equivalgono ma vanno a braccetto. Questo è il motivo per cui,  nella parte invisibile del brand, troviamo variabili inerenti alla funzionalità, alla reperibilità e al prezzo del prodotto/servizio.

Ai canali di vendita ,alla logistica, al customer service, alle strategie promozionali e al budget a disposizione per metterle in atto. Oltre a tutta una serie di implicazioni finanziarie quali: quotazioni in borsa, profittabilità e altre robe di cui non stiamo a parlarti qui né in altri posti dato che non è il nostro.

Quello che però, al di là delle nostre competenze specifiche, vorremmo ti passasse è che non si può creare una marca dal punto di vista comunicativo se prima non hai capito come strutturarla concretamente. Devi sapere quanto sei disposto a investire nel tuo progetto, come produrre e vendere i tuoi beni,  come coinvolgere al punto giusto dipendenti e fornitori, gestire le richieste dei clienti ecc. Senza tutto questo lavoro preliminare puoi mettere via l’idea di ottenere risultati. La comunicazione non funziona se  il prodotto e la strategia di marketing non sono all’altezza.

Ecco perché ti consigliamo di redigere un business plan. 

Farti un’idea del rapporto costi/benefici e degli obiettivi che vuoi raggiungere nel breve, medio e lungo periodo ti aiuterà a  non arrivare impreparato e a non farti prendere dallo sconforto o dal panico nel mentre che darai alla tua marca il tempo di iniziare a parlare, camminare, fatturare.

Se hai studiato Economia e te la cavi bene coi numeri, puoi redigerne uno da solo oppure affidarti a un’agenzia di consulenza manageriale che lo faccia al posto tuo. Eviterai brutte sorprese, faciliterai il lavoro a noi poveri professionisti della comunicazione e ci aiuterai a potenziare l’effetto dei nostri sforzi creativi.

Bene, ora che la paternale è finita, passiamo alla ciccia e vediamo nel dettaglio i passaggi per costruire una comunicazione di marca de fero 🦾

Marketing Analysis

Il primo step che un Brand Strategist dovrebbe proporti nel percorso di creazione della tua marca è uno studio approfondito di brand, target e concorrenza.

3 is the magic number🎶.  Per avere una visione totale dello scenario che si va modificando, è indispensabile possedere conoscenze precise riguardo a ciascuno di questi tre attori.

Come ottenere queste informazioni? 

La concorrenza può essere studiata attraverso una benchmark analysis. Un’analisi qualitativa che esamina la comunicazione messa in campo dai competitor allo scopo di individuare punti di forza e debolezza, comunanza e differenza rispetto al tuo brand.

Un’intervista o un questionario sono invece più appropriati per studiare la tua marca e il tuo pubblico e permetterci di definire nello step successivo le Buyer Personas, tipizzazioni umane che hanno il potere di trasformare il target da sostantivo sterile in una persona con nome, cognome, bisogni e personalità. 

Ne parleremo presto.

Brand Platform

Una volta vagliate tutte le informazioni e solo dopo aver delineato una panoramica completa su marca, pubblico e competitor, è possibile procedere con la definizione del Brand Platform.

Spiegare che cos’è esattamente questo processo e/o provarlo a ingabbiare in un solo modello è un po’ difficile. Assomiglia alla carbonara, che c’è chi la fa solo con i tuorli, chi usa le uova intere, chi mette il pecorino, chi il parmigiano.

Alcuni esperti includono nel Brand Platform praticamente ogni cosa. Gli obiettivi del brand, l’audit svolto sulla marca e sul target, le analisi SWOT, il brand core, il posizionamento e una parte di Brand Personality e di Brand Identity. 

Dato che il percorso di Brand Building è lungo, personalmente noi preferiamo segmentare le informazioni il più possibile per dare al cliente il tempo di interiorizzarle come si deve, piuttosto che presentargli uno sproposito di teorie e postulati difficili da digerire tutta di un colpo.

Andare per gradi ci permette anche di avere la sicurezza di non aver commesso errori nell’analisi dei dati e nello scarico a terra dei fondamenti di brand, prima ancora che nella sua immagine. (Sai che sbatti arrivare a definire il tone of voice di una marca per poi scoprire che la personalità o ancora peggio i valori che l’hanno ispirata sono sbagliati? Praticamente c’è da rifare tutto daccapo).

Lato nostro, quindi, il Brand Platform coincide con la definizione del nucleo “valoriale e percettivo” del brand a cui seguono in seconda battuta una fase “psicocognitiva” di individuazione della personalità e una creativa di modellamento dell’identità.

Poi va da sé che ogni cliente è un mondo. Ed è importante tarare il proprio lavoro in base alle esigenze e al grado di consapevolezza che questo dimostra di avere rispetto alla propria marca.

Se, per esempio, ci troviamo davanti a una realtà che ha già fatto attività di Brand Management in passato e magari possiede già qualche Brand Pillar, ci limitiamo a integrare quelli mancanti con l’obiettivo di dare sempre il maggior valore aggiunto possibile.

In Mida di solito nel Brand Platform inseriamo Vision, Mission, Buyer Personas, Brand Values, Brand Promise (che in alcuni casi potreste aver visto sostituire con Unique Value o Unique Selling Proposition a seconda che il valore aggiunto garantito al consumatore sia più culturale o materiale), e Brand Positioning. 

Brand Personality

Scaricata a terra la roba che scotta, iniziamo a divertirci sul serio, trasformando quelle che fino a un momento prima erano bellissime ma ancora molto astratte promesse in modi da essere quasi tangibili.

Diciamo quasi perché ancora la forma della marca non c’è. Non c’è il suo aspetto, la sua voce. Ma il senso di tutto questo, invece, sì. D’altronde la personalità questo è: un sentore, un’indole, un’attitudine. E come accade con le persone, anche il Brand ne ha una.  Come si trova?

Non c’è un solo metodo. Quello che noi però preferiamo è senz’altro l’Archetypal Branding. Una teoria nata in seno alla psicoanalisi e in particolare a Karl Jung che ci permette di ricollegare i valori della marca e i suoi pillar a uno dei dodici archetipi mentali attraverso cui tutta l’umanità ( e quindi anche il pubblico della marca stessa) riconduce opinioni, emozioni, pensieri, sentimenti.

È una roba fichissima che avremo modo di approfondire a breve in un articolo ad hoc. 

Brand Identity

E alla fine, soltanto alla fine, arriviamo alla creazione della nostra celeberrima Brand Identity. Archetipi alla mano, diamo sfogo alle nostre abilità di trasformare la personalità in elementi visivi, verbali e sensoriali che renderanno la marca unica agli occhi del pubblico. 

Brand Book

Ogni volta che creiamo o ridisegniamo una marca, raccogliamo tutte le informazioni che la riguardano (dal Brand Platform alla Brand Identity) all’interno di un manuale di marca. Una sorta di “diario” che riassume l’anatomia del brand, le sue evoluzioni e i parametri che bisogna conoscere per comunicarlo in modo consistente su ogni canale.

Pensi che costruire la tua marca da solo sia troppo difficile? Contattaci per acquistare un corso di Brand Building by Mida o per una consulenza personalizzata.

Che cos’è un Brand? E il Branding?

quando, come e perché vale la pena di investire nella strategia di marca

🍍Mida consiglia: leggilo se sei alle prime armi o hai conoscenze di base di branding.

Tempo di lettura: 1 7 minuti

Nel 2022 il termine “brand” è ormai sdoganato. Lo sentiamo pronunciare in ufficio, nei negozi, in tv, sul web. E anche quando non viene nominata, questa parolina di cinque lettere influenza la nostra vita e le nostre abitudini molto più di quanto possiamo immaginare. 

Tanto che alla domanda cos’è un brand? Viene da rispondere: “tutto”.

Oggi ogni cosa può essere considerata marca.

Coca-Cola e McDonald’s, ma anche Donald Trump e il Papa. Le Sardine e i Black Block. New York e l’Australia.

Qualcuno pensa che questo fenomeno sia conseguenza di una progressiva mercificazione di massa, ma forse è solo perché ignoriamo la verità: ovvero che una marca non nasce per vendere, ma per significare qualcosa. 

Approfondiamo insieme.

Che cos’è un brand

Il brand è un concetto. Un mondo simbolico, materiale e immateriale cui attribuiamo valori e ideali e tramite cui ci identifichiamo e ci distinguiamo dal resto del mondo. Un’entità, quindi, anche potenzialmente molto lontana dal panorama commerciale.

Il fatto che ci venga naturale associare il suo sembiante alla realtà d’impresa, piuttosto che a una persona o a un luogo, è colpa di un retaggio storico-culturale. Dell’immagine, che noi tutti abbiamo in testa, di certe aziende che a partire dai primi del Novecento si sono servite della semiotica e della comunicazione come di un capriccio estetico e valoriale con cui imbellettare i propri prodotti nella speranza di aumentarne la monetizzazione, differenziandoli dalla concorrenza.

In realtà fare branding non significa per forza fare marketing.

Soprattutto oggi che, con la caduta delle ideologie dominanti, la crisi delle religioni e il sovrafollamento informativo derivante da una comprovata libertà di parola e di pensiero, non esistono più ideali e standard culturali prefissati. 

Le persone, che hanno sempre meno punti di riferimento, vedono nelle verità di marca un canale di autoaffermazione. Il mezzo per costruire il proprio credo e comunicarlo al resto del mondo.

Ed ecco che allora, al bisogno sempre più crescente e generalizzato di personalizzazione e visibilità, non più solo le imprese ma anche le persone, i luoghi, i movimenti diventano marche. Contenitori di significati rispetto ai quali l’implicazione commerciale è solo una possibile (e non obbligatoria) evoluzione. 

In un’epoca in cui non si sa più a che santo appellarsi o a quale quotidiano credere, imprese, partiti, correnti estetiche e culturali, città, influencer diventano nuovi dèi e messaggeri. Non più entità fredde e distanti, ma amici della porta accanto. Portatori dei nostri valori e delle nostre ragion d’essere. Divulgatori illuminati, intrattenitori e (qualche volta) anche venditori di  prodotti in linea con la nostra personalità.

Di conseguenza, il branding arriva a intrecciare relazioni inconsuete che travalicano le barriere del marketing per abbracciare la psicologia, l’antropologia, le neuroscienze.

Differenze tra marchio e marca

Chiariamo subito una cosa: anche se hai sentito usare o hai utilizzato il termine “marchio” o “marca” in modo indistinto (ogni tanto scappa anche a noi specialist, don’t worry😅), la marca non è il marchio e viceversa.

Se la marca è un universo, il marchio è il pittogramma che la identifica. Il segno che vivifica e materializza la sua distintività. 

Derivante dal latino marculus “martello” e dal germanico marka “confine” il marchio porta in sé il valore di imprimere un segno. È il marcatore che vivifica e materializza la distintività della marca, che ne delimita i confini concettuali, differenziandola da tutto il circostante.

Ma anche un sigillo proprietario, dato che “brand” in inglese deriva dall’etimo germanico “brandr” che ha dato origine sia al verbo “to burn” che “to brand”, ovvero “bruciare” e “marchiare” come si marchiava il bestiame attraverso il ferro rovente.

Il marchio, quindi, da un lato determina a chi appartiene un bene o una certa idea e dall’altro instilla su chi o cosa lo esibisce precisi valori.

Ma la marca… La marca è un mondo. È un’idea, un obiettivo, un sogno e poi tutto il sistema di codici visivi, linguistici, dei suoni e degli odori che lo rappresentano. È la percezione che le persone hanno di questo immaginario, dell’idea originaria per cui la marca è nata e di tutte quelle che essa è in grado di scaturire in chi la segue. 

Se il marchio Mcdonald’s è rappresentato solo da una grande emme tondeggiante,  la marca Mcdonald’s , invece, è il rosso, il giallo. Il profumo degli hamburger appena fatti, il loro gusto inconfondibile e poi Ronald McDonald’s e il  jingle che fa Pa.Pa.Pa.Pa.Papaaaa

Le sere in cui esci stanco dall’ufficio e ti fermi al McDrive, perché non hai voglia di preparare la cena. La colazione con le Chicken Mc Nuggets alle cinque della mattina dopo la serata in discoteca o il pranzo della domenica coi tuoi figli a suon di Happy Meal. I sorrisi e le conversazioni consumate al tavolo. Gli incontri casuali capitati al bancone delle ordinazioni e tutte le conseguenze che quei sorrisi, quelle conversazioni e quegli incontri hanno avuto nella tua vita.

Ma anche le luci artificiali dei punti vendita globalizzati, le cartacce del Big Mac abbandonate ai lati della strada, i disordini alimentari causati dal junk food.  

Ogni marca è un mondo, sì. E come tutti gli universi è destinata a portare in sé lati di luce e di ombra. A suscitare negli occhi di chi la osserva associazioni positive e negative. Questo è un problema?

Di solito no, almeno fino a quando le seconde non prendono il sopravvento sulle prime, generando un danno alla reputazione del brand. Che poi, bisogna dirlo, ci sono marche che sugli scivoloni associativi hanno costruiti imperi.

Tanto per dire che nel branding vale tutto e il contrario di tutto. Ed è proprio questo il suo bello: che a differenza di altre discipline, nel suo perimetro ci sono regole che valgono finché qualcuno non ha il coraggio di infrangerle.

Quando costruire un brand

Come avrai capito, il concetto di marca è qualcosa di complesso, a tratti mistico e inafferrabile. Quel mix di ingredienti capace di mandare in visibilio qualsiasi creativo e di fargli dire “basta, adesso mi siedo alla scrivania e in sette giorni tiro su una marca come Dio ha fatto col mondo”. 

Ecco…Diciamo che a volte ci piace spararle grosse😅  

La verità, infatti, è che creare e portare avanti una brand non è così semplice, non sempre possibile e per farlo di certo sette giorni non bastano.  In più è necessario che esistano alcuni presupposti. Senza quelli, meglio lasciar perdere l’imprenditoria e darsi all’alcol. 

Più precisamente è possibile progettare una marca solo:

  • Quando c’è uno scopo più grande → Senza un obiettivo di base si fa fatica a immaginare qualsiasi cosa, figuriamoci un brand. Perciò inizia a chiederti “Perché vuoi creare una marca o diventare tu stesso un brand?” Ti diamo un aiutino: “per fare soldi” non è una risposta valida. Devi porti domande più esistenziali tipo: “Qual è il mondo che vorrei vedere realizzato?” o “Quale valore aggiunto potrei fornire con la mia marca alle persone?” La marca è prima di tutto una questione valoriale, ricordi? Perciò non fare il materialista e concentrati sui tuoi sogni. Sappiamo che ne hai tanti
  • Quando esiste un pubblico → “Maaa ‘ndo vai, se l’audience non ce l’hai? Dicevamo prima: la marca è un insieme di simboli e valori ma anche la percezione che le persone hanno di essi. Puoi essere bravo a individuare e sviluppare la tua vision ma se poi non hai nessuno disposto a perseguirla assieme a te, siamo punto a capo. La marca ha bisogno dell’altro per esistere, arricchirsi di significati e costruire nel tempo un posizionamento e un patrimonio.
  • Quando viene offerto un beneficio → oltre ad avere persone che seguano, acquistino e amino la tua marca, è importante che i tuoi prodotti, servizi, contenuti offrano a esse un valore materiale e/o culturale.Sembrerà una considerazione scontata, ma non lo è. Forse il valore da offrire al tuo cliente ce l’hai anche, ma non è detto che tu sappia comunicarlo nel modo giusto. In Mida ci capita ogni giorno di vedere piccole medie imprese che impiegano tante energie per raccontare chi sono, cosa fanno e quanto sono bravi nel loro mestiere, snobbando completamente l’utente e i suoi bisogni. Non si fa!☝️  Il pubblico è co-creatore attivo del sistema marca. Tutto quello che tu “presumi” o “vorresti” essere nella tua mente non esiste davvero se non è presente anche nella mente degli altri. È la regola number one della comunicazione.

Ignorare chi la tua vision deve appoggiarla e diffonderla non è una grande idea se il tuo obiettivo è quello di costruire una realtà che diventi popolare e apprezzata. Ecco perché, subito dopo aver stabilito chi sei e cosa vuoi ottenere con la tua marca faresti bene a domandarti “e il mio pubblico invece chi è?”, “cosa desidera?”, “come si emoziona?”, “come posso aiutarlo a raggiungere i suoi obiettivi con il mio brand?”. Prenditi del tempo per darti e risposte giuste, poi produci dei contenuti di marca che siano davvero utili per le persone che ti scelgono. Ti ripagheranno in visibilità e autoconsapevolezza.

  • Quando c’è fiducia → il motivo per cui ti diciamo che fai bene a tenere in considerazione il tuo pubblico e i benefici che puoi assicurargli è perché il quarto presupposto di marca è la fiducia. Solo se il tuo pubblico crederà che tu sia in grado di garantirgli i benefici che vai promettendo, potrai considerare la tua una marca con la emme maiuscola.

Che cos’è il branding

Il Branding è la scienza che studia, progetta e controlla tutte le manifestazioni di marca.

Da manuale 🤓

 📖 Il branding è una disciplina complessa, nella quale si integrano molte conoscenze con l’intenzione di costruire, progettare, gestire e governare aspetti di percezione, rappresentazione, manifestazione. Linguaggio…Denominazione. Forma.”

P-pausa. Abbiamo il fiatone. Respiro profondo e via.

Ma anche “l’economia, la globalizzazione e la localizzazione di soggetti, prodotti e/o servizi*.” 

Traducendo dal tecnichese, il branding non si occupa solo di comunicazione. Per quanto la marca non nasca per forza con presupposti commerciali, è innegabile che in molti casi li abbia. Per questo motivo oltre a includere attività di ideazione e progettazione creativa, questa scienza comprende spesso anche attività di management e strategie di prezzo e di prodotto.

Si tratta di piani che solitamente vengono fissati a monte o comunque in sinergia con la definizione del brand core (il nucleo valoriale della marca) prima di qualunque manifestazione creativa da esperti di gestione economica e finanziaria.

Il marketing mix viene sempre prima del communication mix ci hanno sempre detto e a un certo punto abbiamo deciso di crederci 🙆‍♀️.

Cosa comprende il branding

Ecco uno specchietto che presenta le principali attività di branding che potresti (dovresti) richiedere a un professionista di comunicazione e marketing per la tua marca, parafrasate in italiano. 

Disclaimer:

Le attività che ti presentiamo sono quelle che proponiamo in Mida. Altri professionisti potrebbero usare altri vocaboli per indicare la stessa attività o potrebbero proportene altre. Nel branding le scuole di pensiero sono tante quante le sperimentazioni, quindi non prestare troppa attenzione al nome del servizio ma più al suo contenuto.

Brand Building

Sotto il cappello della Brand Building stanno tutte quelle attività che riguardano la costruzione o la revisione valoriale e creativa di una marca a diversi livelli di profondità. Le aziende e/o le persone che hanno bisogno di questo tipo di attività sono solitamente start-up  in cerca di un’identità e/o imprese che sentono la propria come superata o, ancora, che ambiscono a riposizionarsi a un livello più alto o più basso di mercato e per questo hanno bisogno di modificare il proprio aspetto e in parte la propria sostanza.

Brand Management & Strategy

Le attività di Brand Management sono attività borderline. A metà tra il marketing puro e la comunicazione. Esse includono operazioni come la definizione dell’architettura di brand (quando ci sono più brand all’interno di uno stesso sistema). Ma anche la fusione, l’estensione o l’adozione di particolari modelli di marca (product branding, co-branding, debranding ecc), utili al consolidamento del suo patrimonio o al perseguimento di determinati scopi di mercato, oltre che alla risoluzione di crisi dovute a campagne andate male che rischiano di minare la reputazione o la diluizione del valore di marca. 

Brand Perception and Experience

Il branding comprende anche tutte quelle attività che puntano a misurare la percezione che i consumatori hanno del brand a ogni livello. Alcune servono a misurare la notorietà di una marca in termini quantitativi e a valutare la qualità degli attributi e delle associazioni che le persone ricollegano a essa. Alcune verificano che non ci siano crisi in corso e/o fenomeni virali che rischino di minare la reputazione di marchio. Altre ancora si assicurano che la comunicazione messa in atto da una marca sia coerente con la propria Brand Identity o che quest’ultima venga percepita nel modo corretto dagli utenti, fornendo in caso contrario degli actionable per riallineare l’identità di marca alla Brand Image. 

A un livello più micro, la Brand Perception diventa anche Brand Experience ovvero studio dell’esperienza che un marchio garantisce al consumatore attraverso il prodotto, le sue manifestazioni comunicative e i suoi canali (online e offline) in ogni fase della journey d’acquisto.

Branded Content

Ultima ma non ultima, possiamo includere fra le categorie di branding anche quella del branded content. Un tipo “speciale” di content marketing orientato alla marca. Il branded content ha mille manifestazioni online e offline. Può tradursi in spot tv, campagne adv, post social, OOH (out of home= affissioni pubblicitarie). Tutte con un denominatore comune: il racconto dei valori della brand e delle sue manifestazioni rispetto ai cambiamenti socio-culturali che contraddistinguono le varie epoche e/o i fatti di attualità cui assistiamo ogni giorno. 

 

📚Testi di approfondimento consigliati:

*Elia Carmi, Brand 111, Fausto lupetti Editore, 2016.

Come fare branding

  • Sogna in grande ma agisci un passo per volta
  • Conosci te stesso
  • Costruisci un’identità differenziante
  • Capisci come trasformare i tuoi prodotti in valore per gli altri 
  • Parla la lingua del tuo pubblico
  • Pensa al brand come a una persona
  • Sii autentico ed empatico
  • Controlla che identità e immagine coincidano
  • Affidati a un Brand Strategist

 

  • Sogna in grande ma agisci un passo per volta. Quando decidi di lanciare una marca sul mercato devi avere ben presenti quali sono i traguardi che vorresti raggiungere nel breve, nel medio e nel lungo periodo e una panoramica degli scenari possibili che ti attendono in seguito al tuo debutto. La lungimiranza e la tenacia nell’imprenditoria sono tutto. Potresti non raggiungere i risultati stabiliti nei tempi che avevi previsto o al contrario avere un boom di vendite inaspettato già da subito. Aver fissato una tabella di marcia, oltre ad aver elaborato un quadro delle minacce e delle opportunità che il mercato ti offre, ti permetterà di non farti prendere dal panico né di sprecare occasioni che il destino potrebbe riservarti.
  • Conosci te stesso🧘🏻..e chi ti circonda.  Indaga profondamente la tua realtà. Capisci che cos’è che ti fa alzare alla mattina alle cinque, lavorare dodici ore sulla tua marca e arrivare a sera con la voglia di ricominciare tutto daccapo il giorno dopo. Chiediti per chi lo fai, quali sono le persone che immagineresti al tuo fianco nel realizzare il tuo sogno. Come si chiamano, quanti anni hanno, qual è il colore dei loro capelli e che musica ascoltano. E poi pensa a chi, prima di te, ha avuto idee simili, chi lotta per la tua stessa causa magari da un’angolazione diversa o chi sfrutta i tuoi stessi strumenti per perorarne una completamente opposta.
  • Costruisci un’identità differenziante. Dopo aver fatto uno studio adeguato del pubblico, della concorrenza e delle ragioni che muovo il tuo business, traducile in un’identità di marca bella e differenziante. Qualcosa che faccia dire: wow! a chiunque la incontri. Occupati di naming, logo, logotipo, tipografia, stile visivo ma anche della scelta del giusto tono di voce e di tutti gli altri elementi sensoriali che possono aiutare le persone a vedere, udire, toccare, gustare il tuo brand come qualcosa di unico nel suo genere.
  • Capisci come trasformare i tuoi prodotti/servizi in valore per gli altri. Domandati come dovrebbero essere comunicati i tuoi prodotti, servizi, contenuti per fornire un valore aggiunto per chi li sceglie o li legge. Non parlare sempre di te, te, te. Di quanto sei bravo e di quanto è bello ciò che vendi, ma spiega come questo può migliorare la vita di chi lo acquista a livello materiale e culturale. Sii generoso e il tuo pubblico lo sarà con te.                
  • Parla la lingua del tuo pubblico. Dicevamo prima che le persone scelgono sempre più beni non perché ne hanno bisogno ma perché li rappresentano. Quando promuovi i tuoi prodotti/servizi, quindi, cerca di descriverli con le stesse parole che utilizzerebbero i tuoi clienti. Questo li aiuterà a riconoscere in essi una parte di loro.
  • Pensa al brand come a una persona.  Che sia tu o la tua azienda, considera sempre la tua marca come un essere dotato di anima. Come una creatura che pensa, crede, desidera, si emoziona.  Solo così riuscirai a farle esprimere la sua essenza e il suo scopo in modo credibile.
  • Sii autentico ed empatico. E a proposito di credibilità, guai a mentire o ad allontanarsi troppo dai valori per cui il tuo pubblico ti sceglie. I tuoi clienti e/o i tuoi follower ti conoscono meglio di tua madre. Se ti sforzi di comunicare in un modo diverso dal solito, se ne accorgono. Se tenti di propinare loro prodotti o servizi lontani dal tuo brand core (e quindi anche dal loro) se ne accorgono. Parola d’ordine: autenticità. Se costruisci la tua marca in modo solido e dai espressione dei tuoi valori in modo incontrovertibile, attirerai naturalmente le persone che li condividono. Sii semplicemente la versione più gentile di te stesso e tutto andrà bene, ok?
  • Controlla che la tua immagine coincida con la tua identità. Una volta che la tua marca sarà avviata da un po’, cerca di capire se la percezione che il pubblico ha di te coincide o no con le tue aspettative. Sei per il mondo ciò che effettivamente senti di essere per te stesso, oppure no? Chiedertelo è un dovere, svolgere un’analisi ad hoc per indagare meglio questo frangente, una possibilità. Cosa succede se scopri che la tua immagine pubblica non coincide con l’identità che ti sei dato? Puoi tentare di riallinearla con un’opportuna strategia  o attuare un rebranding.
  • Affidati a un Brand Strategist. Per creare e portare avanti una marca coi “controc***i”, il 99% delle volte serve uno specialista. Un professionista (o ancora meglio un team di professionisti) che abbia fatto della comunicazione di marca la propria vocazione, pronto a vestire i panni del tuo psicologo, confessore, analyst, copywriter, art e creative director di fiducia. Uno che ti faccia ragionare prima sulla tua identità e sul tuo pubblico e che poi ti aiuti a esprimerla attraverso una personalità verbale e visiva coerente rispetto all’una quanto all’altro. Che tenga d’occhio la tua reputazione e il posizionamento della tua marca nella mente dei consumatori e che crei campagne su misura per veicolare i tuoi valori, aiutandoti a costruire una tua equity. In poche parole che si metta a capo di tutte le attività ascrivibili alla sfera del branding.

Perchè fare branding

Potremmo dirti che fare branding è fondamentale:

  • per creare un’identità visiva, verbale, sensoriale che ti rispecchi
  • per assicurarti che il tuo sistema di marca sia quello più adatto a raggiungere i tuoi obiettivi di business
  • per fare marketing illuminato, portatore di un valore collettivo più alto, oltre la mera logica dei grandi numeri
  • per controllare l’impatto che la tua marca ha sul tuo pubblico
  • per trasmettere al tuo team il valore di quello che fa la tua azienda 

Ma, per farla breve, ti diremo solo che ti serve:

  • per creare Brand Equity.

La Brand Equity è il patrimonio di una marca che a sua volta è la somma di forza e valore di brand. La forza di brand è rappresentata delle associazioni che i clienti, il canale distributivo e l’impresa hanno della marca. Il valore, invece, non è altro che il risultato finanziario che il management di un’impresa riesce a raggiungere facendo leva sulla forza di marca di cui sopra. Ciò significa che se riesci ad allineare e a rendere positive le associazioni che il tuo pubblico, la tua forza lavoro e la tua catena distributiva hanno del tuo brand, puoi ottenere vantaggi economici e strategici giganteschi.

In particolare la brand Equity assicura:

  • livelli di brand loyalty e di brand advocacy altissimi. Una volta che le persone che lavorano per il tuo brand o acquistano i tuoi prodotti sono fan della tua marca, contribuiranno a diffonderla, oltre che a riacquistarla nel tempo.
  • cashhhhh💸. Maggior fedeltà e diffusione di marca generano margini di profitto maggiori.
  • rischi minori. Uno dei motivi per cui i profitti aumentano è perché i rischi si riducono. La tua marca inizia a detenere una buona fetta di mercato e questo la rende meno incline alle debolezze.
  • brand extension come se piovessero. La minor presenza di rischi facilita, tra le altre cose, le opportunità di estendere e spalmare l’equity del tuo brand madre su altri figli, per moltiplicare le opportunità di guadagno e andare a coprire nicchie di mercato ancora inesplorate. È quello che per esempio ha fatto Coca-Cola, con le sue versioni Light, Zero, Life and co.
  • comunicazione super efficace. I brand con equity alta sono talmente conosciuti dai propri consumatori che ogni campagna è come una chiacchierata. Ci si intende e si ride subito.
  • maggiori possibilità di licensing. Quando sei uno fico, tutti vogliono essere te almeno per un giorno. Così capita che la gente paghi per travestire il loro marchio da tuo.
  • entrare nell’Olimpo dei top brand. I brand che hanno un’equity forte sono i pochi che riescono a mantenere intatta la propria essenza nel tempo. Che sanno sfruttare le tendenze e gli spunti che derivano dal mondo circostante per migliorare e rinnovare continuamente la propria posizione sul mercato, senza mai rinnegare i propri valori fondanti. Che possono (e devono) permettersi di avere un’opinione (anche scomoda) su tutto, consapevoli che là fuori ci sarà sempre un pubblico pronto ad appoggiarli, qualsiasi cosa accada. Sono i soli che, in poche parole, riescano a sopravvivere nel tempo. Che diventano evergreen, everloved, in una parola: cult. 

Cos’è un cult brand e come si fa a crearne uno?

Beh questa, questa è un’altra storia che magari ti racconteremo un’altra volta.

See you soon🤟🏻